domenica 9 settembre 2012

Inti-Illimani Histórico alla Stazione Birra

Carissimi lettori, oggi ho l'onore di recensire il bellissimo concerto che gli Inti-Illimani Histórico hanno tenuto alla Stazione Birra di Ciampino (data l'ora tarda non l'ho sentito tutto...) L'inizio è stato folgorante con la bellissima "Danza" che gli Inti riprendono da quel gioiello supremo chiamato "Palimpsesto" del 1981. La versione se possibile è ancora più struggente dell'originale, grazie all'utilizzo della quena, flauto il cui suono sembra riecheggiare in sé tutto il lamento di un popolo. Interessanti le timbriche della fisarmonica che sostituivano il violino, la mano di Salinas qui era perfetta, mentre nel concerto a "Cooperativa en vivo" si erano sentite delle imperfezioni. Quando si inizia a cantare si interpreta "Polo Doliente", brano estratto da un altro dei miei dischi preferiti degli Inti, quel "Canción para matar una culebra" che per me segna la definitiva maturazione del gruppo. In questo brano José Seves, con cui tra l'altro prima del concerto ho avuto una lunga e bella chiacchierata in castigliano dopo averne fatte di brevi con Durán e Eduardo Carrasco muralista amico degli Inti ed autore di "Inti-Illimani storia e mito", ha dimostrato di non avere assolutamente difficoltà nel padroneggiare il suo fantastico timbro in cui potenza e dolcezza si equilibrano in modo magico. Fa strano sentire la parte d'arpa (affidata a Jorge Coulon) nelle mani del prode Camilo Salinas al piano. Non sta male, anzi, nei ritmi centroamericani dal Venezuela a Cuba passando per la Colombia il piano ci sta benissimo. Il terzo brano è stato una commovente "Papel de plata", dove si è potuta apprezzare la bellissima e ruvida voce di Horacio Salinas, che ha conservato il suo inconfondibile timbro arricchendolo con una leggera sfumatura rauca. Molto bello l'uso della batteria ad imitare il pandero andino, molto rispettoso pur nella contaminazione. Continuando il tuffo negli anni '70 si ascolta "La exiliada del sur", brano di Violeta Parra che gli Inti avevano inciso ne "La nueva canción chilena" (1974). La versione è molto fedele all'originale, le parti di Jorge sono state cantate da un'altra voce molto più potente (non la distinguo...), molto bello sentire le profondità del basso allearsi con la percussività grave della parte centrale del bombo. Tornando agli strumentali si è avuto poi il piacere di riscoprire una delle più belle composizioni di "Salinas", quella "Araucarias" che impreziosiva ulteriormente il già di per sé bellissimo "Andadas" (1992). Faceva strano sentire il brano abbassato di un tono (da la minore a sol minore), faceva un effetto molto classicheggiante sentire il pianoforte che eseguiva battute bartockiane sulle gravi. La parte finale, quella che nel cd era eseguita da Renato Freyggang col sassofono, è stata eseguita da Camilo Salinas (figlio dell'autore del brano e direttore degli Históricos) con la sua magica fisarmonica. Poi si è fatto un salto di vent'anni (indietro) con "Ya parte el galgo terrible". Le strofe se le rimpallavano Salinas e Seves, molto bello, stupende anche le altre coloriture sia musicali che vocali. Insieme a Massimiliano Stefanelli, direttore d'orchestra appassionato di strumenti latinoamericani che suona con abilità, il gruppo ha poi eseguito una bellissima versione di "Takakoma" da "Lejanía", disco che non è mai arrivato ai negozi di dischi italiani. Interessante, rispetto a questa versione in studio, unica da me conosciuta perché non possiedo "Esencial" che pure contiene il brano, degli assoli di quena leggere varianti della melodia. Stefanelli in questo brano suonava il charango insieme a Durán, bello. Da "Hacia la libertad" del 1975 viene "El arado" di Víctor Jara, che qui è stata cantata nelle parti soliste da un bravo e forse un po' emozionato Horacio Salinas. La voce del nostro si rompeva leggermente sempre sul sol prima dell'esecuzione dell'ultimo verso di ogni parte solista. Molto bel brano, belli anche gli impasti vocali, anche se forse mancava in parte minima la perfezione degli originali. Il brano successivo ci ha permesso di andare verso quel gioiellino che è "Travesura", cd di canzoni per bambini inciso dagli Históricos due anni fa. Il brano è stato interpretato con maestria, anche io ho contribuito cantandolo a squarciagola, difatti è la mia traccia preferita del disco. Belli gli impasti vocali, non c'è niente da fare ma per me gli Inti si ottengono con voci dolci e potenti equilibrate, non con timbri dello stesso tipo. Dopo due brani de "Los bipolares", gruppo da cui provengono Danilo Donoso (batteria e percussioni), Fernando Julio (basso) e Camilo Salinas (pianoforte e fisarmonica), quando gli Inti sono saliti di nuovo sul palco si è ascoltata un'applauditissima "Alturas". In questo brano c'è stata qualche leggerissima e non fastidiosa smagliatura nella parte di sicus, il resto è stato impagabile come sempre (bombo, charango, chitarra e sicus sono sempre una magia grandiosa). E andando avanti si arriva ad "Arróz con cocolón", brano inciso in "Esencial" del 2006, pezzo dalle forti sonorità afroperuviane, evidenziate dall'abilità di Danilo Donoso al cajón. Molto efficace comunque l'insieme del gruppo, fantastico Camilo Salinas al pianoforte, che veramente nella musica latinoamericana scopre la sua anima percussiva che in Europa è così negletta. Dopo c'è stato spazio per quel divertissement durissimo da suonare dal titolo "La marusa", che Horacio Salinas ha interpretato con Massimiliano Stefanelli al cuatro venezuelano. Veramente bravissimi entrambi, anche qui c'è forse stata qualche leggera smagliatura ma niente di fastidioso. Si è andato avanti poi con "Vuelvo", un inno del ritorno dei cileni dall'esilio, scritto da Salinas e Manns nel 1979 quando ancora mancavano dieci anni alla fine della dittatura. Bellissima l'interpretazione di Seves, che forse aggiungeva alla rabbia dell'esiliato quella dello scontento per come sono poi andate le cose in Cile. Faceva strano, ma non dava per niente fastidio, sentire le parti di tiple affidate al pianoforte di Salinas jr. Qui si potevano ammirare i favolosi impasti vocali unisoni che hanno fatto la fortuna e l'inconfondibilità dello stile Inti (se ascoltate altri gruppi forse difatti la vocalità è più generalizzata, nel senso che le voci si scorporano e si fanno controcanti, pensate al livello di arte a cui i Quilapayún hanno sviluppato questa arte anche grazie a Víctor Jara). Tornando al repertorio più noto in Italia si ha il piacere di ascoltare "Lo que más quiero", testo della cantautrice cilena Violeta Parra egregiamente musicato da sua figlia Isabel. L'interpretazione degli Inti conservava le sue caratteristiche base, cambiava solo la distribuzione delle strofe tra le varie voci. Molto bello il vocalizzo a canone che inizia e conclude il brano. Un altro momento esplosivo, anche per gli assoli di Camilo al piano e Danilo alla batteria, è stato "Mulata", brano a ritmo di salsa che sfrutta una poesia molto bella del poeta cubano Nicollás Guillén. Mancava solo il flauto ottavino, che in questi repertori fa sempre la sua inconfondibile figura, ma comunque è stata un bellissimo pezzo (peccato che il pubblico non ballasse!). Da brividi è stato anche il canto antirazzista "Samba landó", che il gruppo riprende da quel gioiello, già qui pluricitato, dal titolo "Canción para matar una culebra". Le strofe se le rimpallavano Seves e Salinas, dando ognuno il proprio conio, che veramente sapeva dell'autentica storia del gruppo. Anche noi nel ritornello contribuivamo con il coro su "Samba landó, que tienes tú que no tenga yo". Io ero emozionatissima, sinceramente questi sono i miei inti! Gli ultimi tre brani che abbiamo sentito sono stati tre superclassiconi del periodo '70 inizi '80. Il primo è stato "El pueblo unido", che gli Inti ci hanno invitato a cantare, devo dire che molta gente se la ricordava, poi comunque si esplodeva sempre nel ritornello. Il secondo è stata una "Fiesta de San Benito", dove, ancora una volta, la batteria ha fatto le veci del pandero. Io questo brano l'ho ascoltato in piedi ed ho dato anche qualche accenno di danza (per quanto possa permettermelo io!). Comunque cantavo e me la godevo anche se ero mezza afona a forza di commuovermi ed impazzire. L'ultimo brano da me sentito integralmente è stato "El mercado de Testaccio", uno di quei gioielli di gratitudine che i gruppi cileni composero nel periodo del loro esilio europeo ("Vals de Colombes" per i Quilapayún o, tornando agli Inti tra le altre "Una finestra aperta"). Mentre andavo via ho sentito le prime inconfondibili note di "Simón Bolívar", e così gli Inti mi hanno salutata. Fantastico concerto, il consiglio spassionato è di andare a vedere gli Históricos quando passano dalle vostre parti!

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